Voci dal Deserto

Sono spuntate le stelle qui nel deserto, tante stelle, un tappeto, con una sua trama, corpo, densità. E’ la prima notte di bivacco, e penso che dormirò all’aperto. E poi c’è un’aria dolce, pulita, che scorre lieve lieve dentro le narici, e un silenzio pieno, che non ha eguali, spezzato soltanto dalle nostre voci, che via via si sono fatte più lievi anche loro, un sottovoce che si è fatto strada da solo, per non disturbare questa immensità potente, silente, indifferente direi. Solo i berberi parlano più forte, è casa loro, mentre preparano la cena. I dromedari sono i più silenziosi, li avevo praticamente dimenticati. Siedono a lato dell’accampamento, lì li abbiamo trovati tutti insieme al nostro arrivo, zitti e immobili, poco dopo il calar del sole, e lì sono rimasti fino a rendersi invisibili, la loro zona si è andata oscurando e sono stati inghiottiti dal buio, come tutto il paesaggio intorno, mentre poche lanterne a gas e le torce frontali di ognuno hanno delimitato il campo, e, sopra, il buio si è macchiato di milioni di luci. Qualcuna è caduta quaggiù, in perfetta linea perpendicolare, tacita e veloce. Anche io ne ho vista una. Ero così contenta, che non avevo desideri da esprimere

Liliana

 
Quell'alba nel deserto non la dimenticherò mai. All'improvviso un sole rosso sangue è apparso da dietro una duna: è stato come uno squarcio, ho provato un'emozione, una fitta al cuore, una gioia talmente grande da assomigliare a un dolore. E' stato come rivivere la prima alba del mondo, come se sotto i miei occhi si rappresentasse di nuovo quell'avvenimento primordiale. E' stato un risveglio, un ritrovare un contatto con il ritmo eterno della natura, una piccola “illuminazione” che mi ha lasciato commossa per il resto del viaggio.

Maria Teresa

Bella esperienza, abbiamo instaurato un buonissimo rapporto con le famiglie, il progetto sta crescendo, i bambini sono meravigliosi, abbiamo passato dei momenti meravigliosi insieme…
Tutte parole che ripetevo a chi mi chiedeva di parlare del viaggio in Marocco, tutte parole che mi suonavano non false, ma banali, non rispondenti al reale vissuto, alle emozioni che avevo provato. Per cui provo a ricominciare da capo, dalla parola che per prima emerge alla mia coscienza quando riporto il pensiero a quei giorni.
Semplicità. Il loro modo semplice di vivere, di stare insieme, si possono scambiare semplicemente per ingenuità, per qualcosa di “naif”: per esempio l’ultima serata passata insieme, la festa finale, quella gioia genuina nel cantare e ballare insieme, mentre i piccoli seri e attenti partecipavano anche loro osservando i grandi, nutrendosi con gli occhi delle regole degli adulti: ma non c’è in questo modo di vivere tutto l’essenziale che in realtà serve a noi esseri umani? Stare insieme in comunità, sentirsi protetti, sostenersi l’uno con l’altro, allargare la famiglia? Trasmettere alle nuove generazioni con l’esempio i propri valori? Cantare, ballare insieme, non fanno parte delle espressioni umane più antiche e più “socializzanti”? Quanti fronzoli in più abbiamo aggiunto al nostro vivere in società, che hanno tolto spontaneità alle relazioni, hanno opacizzato il rapporto diretto “cuore a cuore”, “vita a vita”?
Nei gesti semplici dei giorni passati a Tafraout sono riuscita a sentire quel legame profondo che ci unisce come esseri umani; ho ritrovato quel filo sottile che ci rende fratelli e sorelle, aldilà delle maschere, delle formalità, delle convenzioni; aldilà delle differenze – di cultura, di lingua, di religione, abitudini di vita, condizione sociale - . Era andare “oltre”, era sentirsi “famiglia umana”. Essere coinvolti nello stesso progetto, la scuola, e in tutto quello che da essa può nascere, faceva sì che non ci fosse più distinzione tra noi – i benefattori – e loro che ricevono: si era creato uno scambio umano in cui non c’era più dare e ricevere, ma un flusso continuo di vita, come un unico respiro.

Maria Teresa